Mi chiamo Marta e, insieme ad Alessandro e Gabriele, sono una volontaria del Servizio Civile con IPSIA in Kenya per l’anno 2025–2026.
Devo ammettere che non è stato semplice scegliere un argomento da condividere con voi lettori per questo nostro primo articolo: i primi tre mesi di servizio sono stati intensi e sfaccettati e le cose di cui vorremmo parlare sono tante. Alla fine, abbiamo deciso di raccontarvi di una delle prime esperienze che abbiamo vissuto una volta arrivati a Nanyuki, la cittadina Kenyana che ci ospita: il Corso di Permaculture Design presso il nostro partner, il Laikipia Permaculture Center (LPC).
La permacultura è un approccio sostenibile alla gestione del territorio che mira a creare sistemi autosufficienti e rispettosi della natura, dove esseri umani, animali e piante collaborano in modo armonioso e sinergico. La permacultura è una componente chiave del lavoro di IPSIA, che di essa si serve per dare vita a progetti che mirano a rigenerare gli ecosistemi, migliorare la sicurezza alimentare e rafforzare la resilienza delle comunità ai cambiamenti climatici.
Ma perché mai leggere un articolo che parla di un corso? Perché, per noi, è stato più di un semplice corso. È stata un’esperienza che ci ha fornito nuove conoscenze e competenze - fondamentali per svolgere con maggiore consapevolezza il nostro servizio con IPSIA – e che allo stesso tempo ci ha arricchiti a livello personale, offrendoci nuove lenti con cui guardare all’agricoltura, al rapporto con la natura ed alle sue potenzialità.
Il Laikipia Permaculture Center si presenta come una piccola oasi dai mille toni di verde. È in questo luogo che ci siamo immersi nell’affascinante mondo della permacultura, guidati da Joseph, direttore e fondatore del centro e dai suoi collaboratori Paul, Pamela e Francis. Giorno dopo giorno abbiamo aggiunto nuove competenze al nostro CV da “permacultori”: abbiamo preparato compost per fertilizzare la terra, realizzato repellenti naturali per tenere lontani i parassiti, imparato a riconoscere alcune tipologie di piante ed i loro possibili utilizzi. Francis ci ha mostrato il funzionamento di un alveare, con Paul abbiamo scavato la terra per creare strutture che trattengono meglio l’acqua e nella factory del centro abbiamo visto come si producono miele, marmellate e tè locali, prodotti in collaborazione con le comunità locali. Abbiamo scoperto che l’urina di coniglio fertilizza, che i lombrichi si riproducono dividendosi in due e che il banano fruttifica una sola volta, lasciando poi spazio a un nuovo germoglio ai suoi piedi.
Nella parte conclusiva del corso, ci è stata data l’opportunità di collaborare alla progettazione di un intervento su un terreno gestito da un gruppo di donne Masai, elaborando insieme a loro una proposta di permacultura che integra orti, punti di raccolta dell’acqua e spazi sociali. Un sistema armonico, dove ogni elemento, dal bamboo piantato per proteggere le strutture dal vento, alla food forest destinata al sostentamento, dialoga con gli altri, mostrando come la permacultura possa agire in modo olistico, su scala comunitaria.
Insieme a noi, a seguire le lezioni, altre otto persone, con provenienze e percorsi molto diversi: una “macedonia culturale” che ci ha incuriositi fin dal primo giorno. Tra una buca e l’altra abbiamo trovato il tempo di assaggiare le loro storie, aiutati anche da un’iniziativa di Joseph, che ogni mattina ci invitava a condividere qualcosa di personale - un pensiero, una canzone, un frammento di vita. C’era Aioub, keniota che vive in Trentino Alto Adige da vent’anni: parla italiano meglio di noi e gesticola altrettanto. Sta studiando permacultura perché desidera avviare un progetto nel pezzo di terra che possiede nel Kenya Occidentale. Insieme a lui c’era Edwin, un ragazzo che lo aiuta sul campo, silenzioso durante la teoria, ma abilissimo nella pratica. Non aveva mai visto una persona bianca e, più di una volta, ha voluto scattare una foto insieme a me. Abbiamo conosciuto anche Binty, vent’anni, dotata di una determinazione disarmante: viene dalla costa del Kenya, ha nove fratelli e studia permacultura per ridare vita alla terra di casa, per costruire un futuro migliore per la sua famiglia. Anche lei, come me, è artigiana: un giorno ci siamo scambiate oggetti fatti a mano, dando vita ad un momento di condivisione che ricorderò con il sorriso.
Così, tra terra, lezioni, incontri e quantità imprecisabili di chai e mandazi, i dodici giorni del corso sono volati, lasciandoci molto più di quanto immaginassimo. Ci siamo arricchiti di storie, di cultura gastronomica keniota, di competenze tecniche e pratiche e, soprattutto, abbiamo imparato ad osservare la natura con uno sguardo più consapevole, a cercare di capirla e di collaborare con lei in modo intelligente e rispettoso.
E non è finita qui: abbiamo portato a casa un vermi-compost, ovvero un contenitore con terra e lombrichi, i cui escrementi stiamo usando per fertilizzare l’orto che abbiamo nel giardino di casa. Quanto sopravviveranno i nostri cavoli e le nostre patate dolci ancora non lo sappiamo - forse il pollice verde ci manca - ma una cosa l’abbiamo capita: la permacultura non è solo un modo di coltivare, è un modo di guardare il mondo. E, forse, anche un modo per cambiarlo. Un po’ alla volta, un orto alla volta.







