Sono Claudia, in Servizio Civile Universale con IPSIA a Bihać, e questo mese l’articolo del mese da pubblicare sul sito di IPSIA tocca scriverlo a me. Sono giorni che ci provo e non esce tanto, non sono brava con le parole quando mi sento dentro a un frullatore. Mancano tre mesi alla fine del nostro Servizio Civile Universale e sì, mi sento dentro a un frullatore.
Poi un mio collega, qualche giorno fa, mi ha consegnato tra le mani il tema perfetto per questo articolo. Il suo nome è Harun, a fine mese cambierà lavoro e si trasferirà in Slovenia.
La partenza di Harun è un po’ la fine di un’epoca per IPSIA Bosnia-Erzegovina. Io personalmente lo conosco da quando lui, giovane, rasato e con dei grandi baffi un po’ hipster, ha iniziato a lavorare con IPSIA qua a Bihać nel dicembre 2020, poco prima dell’incendio del primo campo di Lipa. A quel tempo io ero a Bihać come volontaria, studiavo ancora in Italia e tutto era diverso. Harun – che adesso porta i capelli lunghi e i baffi corti – è ora il team leader di noi operatori e volontari che lavoriamo nei centri di accoglienza, è il nostro coordinatore. In questi anni che l’ho conosciuto ho alternato momenti di adorazione a momenti in cui non abbiamo litigato furiosamente solo perché alla fine ci vogliamo bene, e lui è molto più buono di quanto probabilmente vorrebbe. Lavorando insieme nei Social Café, abbiamo avuto l'opportunità di osservare da vicino la resilienza umana e la forza dell'empatia. Ogni incontro era un'opportunità per ascoltare storie di viaggi disperati, di speranza e di difficoltà. In questo spazio, le barriere linguistiche e culturali si dissolvevano, lasciando posto a un senso profondo di connessione umana. Una delle sfide più grandi per me che sono sempre troppo pensierosa è stata quella di bilanciare la leggerezza delle attività di animazione con la consapevolezza della realtà dolorosa che i migranti vivono, ma tutto era accompagnato dalla sottile ironia di Harun, capace – da vero bosniaco – di ridere di tutto fino ad essere quasi dissacrante, senza mai però diventare irrispettoso. Con Harun abbiamo parlato spesso di quanto questo lavoro ti permetta di imparare che anche nei momenti più difficili, la gioia e la solidarietà possono fiorire e la speranza è dura a morire. Dai laboratori artistici alla condivisione di racconti, dai tornei di ping-pong alle gare di cucina all’ultima spezia, ogni momento nei Social Café è stato un’occasione per incontrare resilienza.
Sono davvero molto grata di aver giocato in squadra con Harun per tutto questo tempo. Lui tra poco partirà, ma tornerà spesso a Bihać per visitare i suoi nonni, due adorabili vecchietti con gli occhi buoni e limpidi che lo amano come un figlio, e che trattano anche tutti i suoi amici come dei nipoti. Lo so perché ho la fortuna di conoscerli. E mentre Harun sarà via, spetterà a Silvia, me e tutti gli altri fare visita ai nonni. Questo compito prevedrà merende a suon di torta fatta in casa, caffè e rakija di frutta, il tutto accompagnato dai racconti della nonna, una vera forza della natura che dopo aver vissuto la guerra e la fame non permette che nessuno si alzi dalla sua tavola a meno che non sia felice, satollo e ubriaco. Sulla terza non so, io non bevo alcol, ma posso garantire che a felicità e sazietà la nonna mantiene sempre quello che promette, mentre il nonno osserva attento e divertito.
Caro Harun, buon viaggio e buona fortuna. È stato un onore.