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Un fiume in piena
21
Mag
2020

Un fiume in piena

Articolo inizialmente pubblicato sul blog personale di Silvia Maraone - Nella terra dei Cevapi https://nellaterradeicevapi.wordpress.com/2020/05/21/un-fiume-in-piena/

Chi segue il mio blog avrà notato che non scrivo da oltre un anno. La mia riflessione scritta di quello che accade lungo la rotta balcanica si è fermata a un elenco di morti rimasti spesso senza nome, ma a volte, con una sepoltura (questa è una storia che è un giorno dovrò raccontare, e in un certo senso termina l’8 marzo, giorno in cui l’Italia si è fermata per pandemia e in cui io sono partita da Milano per andare prima di tutto in un posto che si chiama Lipa, in Croazia).

Dove sono adesso? Sono a Bihac, nella Bosnia occidentale. Luogo in cui già avevo vissuto e lavorato e nel quale è nato questo blog, e luogo che dal 2018 ho ricominciato a frequentare, perchè da allora la rotta balcanica ha fatto capolinea proprio qua. La mia avventura di oltre due anni in Serbia è terminata, ho salutato Valjevo e mi sono trasferita qui, dove la mia organizzazione lavora da oltre vent’anni e ho appena marcato il mio terzo anniversario da espatriata migrante coi migranti.
Vista la situazione attuale e visto uno stato di calma mentale raggiunto forse grazie all’isolamento in Bosnia tra confini chiusi non solo ai migranti, ma anche a me, provo a raccontare quello che è successo e che sta succedendo oggi da queste parti, almeno dal mio punto di vista. Dato che la storia è densa e racchiude oltre un anno di informazioni, userò alcuni link per aiutarmi a fare il riassunto.

La silenziosa rotta balcanica

In estrema sintesi: sono successe un sacco di cose ovviamente in un anno e passa, lungo la rotta balcanica, ma al tempo stesso è come se non fosse cambiato nulla. Le persone continuano ad arrivare, la rotta balcanica da oltre due anni è il principale corridoio di ingresso in EU, ma le barche in mare fanno più like di quanti non ne facciano dei poveracci coi piedi martoriati lungo il Carso e gli stati interessati dal flusso sono sempre gli stessi.

Dalla Turchia con i suoi 4 milioni di rifugiati e richiedenti asilo le persone vanno tendenzialmente verso la Grecia che accoglie più di 120.000 persone, la maggior parte delle quali in condizioni terribili sopratutto nei campi sulle isole – vedi Moria per esempio. Tra l’altro proprio quest’anno, prima della fine del mondo, la Turchia di Erdogan aveva ben pensato di riversare verso i confini greci migliaia di persone assicurando loro che i confini turchi erano aperti e che l’accordo di Marzo 2016 era saltato.

A quel punto le persone on the move prendono due direzioni possibili: una verso l’Albania e poi Montenegro e Bosnia, oppure la grande rotta classica, Macedonia, Serbia e poi o Bosnia – la maggioranza – o tentativo di attraversare a piedi o nei camion o sui treni la Croazia o l’Ungheria o la Romania. Tendenzialmente questo passaggio dalla Serbia – che al momento ospita oltre 8.000 migranti – verso i paesi EU va a finire male, motivo per cui la gente continua a preferire – o i trafficanti continuano a muovere in quella direzione – il confine verso la Bosnia Erzegovina. Arrivati in Bosnia, le persone da Tuzla o Bijeljina vanno verso Sarajevo e da lì verso i confini occidentali – cioè dove sono io – e in minima parte verso l’Erzegovina o verso Banja Luka, nel tentativo di passare i confini con la Croazia.

Cosa questa banale lezione di geografia balcanica significhi, potete trovarlo in termini di numeri sulle pagine ufficiali dell’IOM, ma in termini di persone ossia volti, occhi, carne e ossa e quel che significa in termine di rischio e di botte e di umiliazioni lo trovate ben documentato qui, per esempio.

Overview of the mixed migratory trends across the Western Balkan region in 2019

Storie fatte di violenze, deprivazioni, umiliazioni in cui le politiche degli stati balcanici non aiutano per nulla. Decisioni sbagliate prese sulla pelle di migliaia di persone tra cui un sacco di famiglie e minori non accompagnati che vengono da paesi il cui passaporto non serve a niente. Quando si dice, che il nostro destino è deciso dal lancio di una monetina io penso proprio a questo: sta tizia, che deve nascere il 4 dicembre, dove la facciamo recapitare? Ah ecco, Milano Italia (che fortunella)… E quest’altra? rullo di tamburi…. Kabul Afghanistan (ka-booom direi). Giusto per ricordare a ognuno di noi che non è un nostro merito se siamo nati da una parte o dall’altra del globo e che la dovremmo smetterla di vedere loro come “gli altri, invasori”, ma come quelli la cui monetina è atterrata dal lato sbagliato.

Tornando alla rotta, e tornando alla sintesi delle scelte sbagliate fatte da queste parti, trovate un riassunto molto valido in questo lavoro di ricerca fatto da una nostra volontaria, Elena, e pubblicato dagli amici di Balcani Caucaso.

E arriviamo all’oggi, avendo fatto un salto di un anno in poche righe.

Corona & migrazioni in salsa balcanica

Dopo la proclamazione dello stato di emergenza il 16 marzo 2020 per via del Covid-19, il Governo bosniaco ha preso via via diverse misure di prevenzione (distanziamento sociale, chiusura di scuole, negozi, bar e ristoranti, divieto di assembramenti, chiusura delle frontiere e obbligo di quarantena etc) che hanno interessato anche la popolazione migrante che vive all’interno dei centri di nel Paese. In particolare, i campi che si erano sempre connotati per essere luoghi controllati da una security privata, ma aperti per il libero ingresso e uscita per i migranti registrati con tesserino IOM durante la giornata, sono stati chiusi, senza permettere più entrata e uscita dei residenti.

I migranti rimasti chiusi nei centri hanno visto aumentare il livello di stress e incertezza, si sono sentiti intrappolati in un luogo nel quale il contagio avrebbe potuto propagarsi con effetti devastanti (nessun presidio sanitario, no mascherine, no guanti, no igienizzanti, no distanziamento sociale possibile) e si sono visti impossibilitati ad acquistar qualunque bene, da cibo e generi di conforto extra (sigarette/cioccolato/tea etc), non hanno potuto uscire per andare a ritirare i soldi da Western Union che mandano loro parenti e amici, e non hanno potuto andare al game (tentativo di attraversamento delle frontiere per raggiungere le destinazioni EU desiderate), alimentando un fiorente mercato nero all’interno dei campi stessi.

Le organizzazioni ritenute non essenziali nei centri hanno dovuto sospendere le loro attività (al campo sono rimasti IOM, DRC, Red Cross e Save the children) o ridurre la loro presenza e lavorare secondo un meccanismo di rotazione su turni per evitare al massimo le interazioni tra membri dello staff.

Esternamente ai campi almeno 2.000 persone (su quasi 6.000 presenze calcolate a Marzo nel Paese ) si sono ritrovate escluse dal sistema accoglienza, trovandosi a dover dormire in rifugi improvvisati come vecchie fabbriche, rifugi abbandonati e tende nei boschi. Nella zona di Tuzla (luogo di arrivo e registrazione dalla Serbia) e di Sarajevo, la polizia e le istituzioni locali hanno raccolto le persone fuori dai centri e le hanno trasportate nei campi di Blazuj e Usivak, vicino a Sarajevo.

Contestualmente, vista la chiusura delle frontiere di tutti i Paesi per via del Coronavirus e i trasporti bloccati ovunque, oltre che la chiusura dei migranti nei campi anche in Serbia, Macedonia e Grecia, il numero di nuovi arrivi dagli altri paesi, così come il flusso interno dalla Bosnia orientale a quella occidentale, si è fermato per circa due mesi. Per tutto Marzo e larga parte di aprile, tra l’altro, i migranti stessi che si trovavano fuori dai centri e che avrebbero potuto provare ad andare al game non si sono in realtà mossi perché sapevano che avrebbero trovato estreme difficoltà di movimento una volta raggiunti la Croazia, la Slovenia e l’Italia.

Il problema “migranti” è però rimasto in parte non risolto nel Cantone di Una Sana e in particolare nella città di Bihac, dove più di 1.000 persone vivevano in condizioni miserabili all’interno dello Stadio, della Dom Penzionera e di una vecchia fabbrica devastata, la Krajinametal. La popolazione locale in più modi ha sollevato la questione, accusando i migranti di essere portatori di Corona virus e altre malattie e di delinquere, entrare nelle case e rubare, mentre la popolazione doveva rimanere chiusa in casa.

Per far fronte a questo problema e così come richiesto da più di un anno dalle istituzioni locali, ad Aprile è stato ufficialmente aperto un centro di accoglienza per l’emergenza. Con il pretesto del Covid19, un campo di tende è stato allestito dopo la realizzazione di lavori di allestimento (preparazione del terreno, impianti elettrici, fognature e scoli…) in una località denominata Lipa posta a circa 30 Km da Bihac in direzione Bosanski Petrovac.

All’apertura del campo, i corpi della polizia speciale hanno cominciato a portare in autobus le persone che si trovavano nei principali squat al campo di Lipa da dove però le persone tendono a scappare nel giro di pochi giorni tornando a piedi in città. Dalla seconda settimana di Maggio assistiamo in città a una caccia all’uomo, per cui la polizia con camionette e furgoni cattura i migranti che trova in città fuori dai centri, in alcuni casi brucia loro zaini, sacchi a pelo e viveri, li trattiene di notte in un garage e li porta la mattina dopo nuovamente al campo, da cui di nuovo le persone scappano.

La nuova struttura di accoglienza a Lipa

 

Garage in cui vengono tenuti i migranti prima di essere portati a Lipa. Fonte Bejza Kudic


L’apertura di Lipa è stata senz’altro un pull factor, per cui i migranti che sino a poco prima non provavano ad andare al game in attesa che si allentassero le misure restrittive legate al Corona virus in Europa, hanno cominciato a muoversi massicciamente da Bihac, tant’è che da fine Aprile, inizio Maggio, si assiste a un significativo incremento di arrivi sul Carso triestino. Contestualmente, si è assistito anche a un inversione di tendenza rispetto ai respingimenti di sloveni e croati nell’ultimo mese, per cui di fatto un largo numero di persone partite in questo periodo è effettivamente arrivato in Italia senza incappare nelle pattuglie sui confini.

Contemporaneamente però Lipa, che “ufficialmente” è un centro di emergenza che risulta di competenza delle autorità locali, ma coperto finanziariamente da IOM/EU e che dovebbe essere stato allestito solo per la fase Covid, rischia di trasformarsi in quello che sarà il campo per single men del Cantone Una Sana. Secondo le volontà politiche locali si vogliono chiudere i campi Bira e Miral e lasciare a Bihac solamente i centri più piccoli e per famiglie, spostando il problema su campi più grandi e lontani, come Usivak e Blazuj vicino a Sarajevo o appunto quello che rischia di diventare il nuovo jungle camp, Lipa.

Con la scusa dell’emergenza sanitaria, in data 18 maggio il gruppo di coordinamento cantonale sulla crisi migratoria ha emanato alcune direttive che sono poi state portate il 20 maggio all’attenzione del ministro della sicurezza Radoncic (anti-migranti dichiarato) :

1. La Task Force cantonale, rimane coerente nel voler attuare le decisioni prese in Assemblea cantonale, il che implica che devono restare in funzione solo i campi temporanei Borici a Bihac e Sedra a Cazin, che ospitano categorie vulnerabili. Il campo Bira a Bihac, dopo che è stata creato il nuovo campo al di fuori dell’area popolata, deve essere chiuso immediatamente. L’IOM è tenuto a preparare il sito di Lipa per l’accoglienza dei rimanenti migranti ospiti nel Camp Bira.

2. Le organizzazioni competenti, principalmente l’UNICEF, sono tenute, con scadenza al 21 maggio, a ricollocare i minori, posti in condizioni inadeguate al campo di Bira a Bihac, in altri centri al di fuori del Cantone di Una-Sana. In caso contrario, questa organizzazione dovrà assumersi la piena responsabilità dei migranti minorenni, dopo la chiusura definitiva del campo Bira.

3. Al fine di preservare ulteriormente la sicurezza e la situazione epidemiologica sanitaria, è ancora necessario mantenere un rigoroso controllo del traffico interno e della circolazione della popolazione migrante con i mezzi pubblici al fine di prevenire la diffusione di malattie che potrebbero mettere in pericolo la salute di più persone e verificare le condizioni di affitto degli alloggi privati. L’esecuzione di queste misure sarà curata dal MUP USK e dall’Amministrazione cantonale per gli affari ispettivi.

4. L’amministrazione comunale di Bihac è richiamata a far terminare con urgenza i lavori relativi al campo in località Lipa, principalmente terminando l’installazione di recinzioni e cancelli e occupandosi dell’allaccio idrico.

5. Il Consiglio municipale di Velika Kladusa è invitato a formare un organo di coordinamento che coopererà con la Task Force e le agenzie delle Nazioni Unite e ad avviare attività per determinare la posizione con prerequisiti infrastrutturali per l’urgente istituzione di un campo di transizione al di fuori dell’area popolata di Velika Kladusa e il trasferimento dei migranti dagli attuali alloggi di fortuna.

6. I proprietari di edifici residenziali e abbandonati, come ex capannoni di produzione o edifici non finiti, in cui i migranti soggiornano senza alloggiare nei campi esistenti, sono tenuti ad adottare misure per proteggere fisicamente gli edifici entro 72 ore.

7. È richiesto un rigoroso monitoraggio delle attività di tutte le organizzazioni, individui e ONG che attuano programmi volti a sostenere la popolazione migrante in collaborazione con le agenzie delle Nazioni Unite e il Comitato centrale del Cantone. Le attività nei campi illegali sono vietate a tutte le organizzazioni e persone non autorizzate, non approvate dalle agenzie delle Nazioni Unite e dai loro partner o dalla Croce Rossa del cantone di Una Sana. Il MUP USC (polizia ndr) è responsabile dell’implementazione di questa decisione.

Braccio di ferro con l’Europa (e nel frattempo nei campi….)

La risposta dell’Unione Europea è stata rapida e secca, il giorno stesso in cui il governo Cantonale ha richiesto supporto da parte del ministero della sicurezza, la delegazione dell’EU per la BiH ha inviato una lettera a firma del capo della delegazione Sattler. Tanto quanto il Cantone ha emanato una sorta di ultimatum dichiarando che dal 22 maggio il campo Bira verrà sgomberato (tra le righe io ci leggo, anche con eventuale uso della forza), tanto quanto l’UE sente l’impellenza di avvisare il Ministro Radoncic che tutto quanto stanno facendo è contro i diritti dell’uomo in particolare la detenzione (illegale) nei centri e le condizioni in cui vengono tenuti i minori non accompagnati (e siete dovuti arrivare fino a qui per leggere questa frase, che razza di trucco meschino dell’autrice eh?!). Per chiudere con eleganza, Sattler scrive come saluto finale: nel caso in cui non facciate i bravi (non dice proprio così) l’UE rivedrà il suo aiuto alla BiH per la gestione dei migranti (dove non ti tocco nei contenuti, ti tocco nel portafogli)

Mentre mi tornano alla mente i fatti di venticinque anni fa, quando i gruppi di contatto per la pace in ex Jugoslavia e l’UN dialogavano con Milosevic, Tudjman e Izetbegovic (da cui è nato il famoso modo di dire: dialogo tra sordi) e aspetto il 22 di maggio (cioè domani), quello che so è che:

- da quando hanno aperto Lipa le condizioni dei migranti fuori dai campi sono diventate terribili
- sempre più gente sta andando al game
- chi torna dal game lacero e pesto e derubato non viene accolto nei centri ufficiali anche se è minore
- il campo di Lipa è già oltre la sua capacità
- dal Bira, nonostante il campo sia chiuso siamo passati da 1700 persone a fine aprile a 700 oggi
- le persone nel Bira ci chiedono se il Bira verrà chiuso
- a noi operatori viene detto che il Bira non verrà chiuso
- il governo locale i i fascisti locali dicono che il Bira verrà chiuso
- a Velika Kladusa hanno incendiato i capannoni dove stavano i migranti da questo inverno
- domenica è la fine del Ramazan e chiudere un campo con ospiti musulmani con la violenza due giorni prima della fine del mese di digiuno in un Paese a maggioranza musulmana è un atto ancor più irrispettoso se possibile
- di fatto non si capisce cosa voglia dire il punto 7 delle decisioni cantonale rispetto al lavoro delle associazioni e ONG, ma è molto chiaro che si voglia perseguire chi fa solidarietà fuori dai campi
- nel frattempo aumentano gli arrivi in Serbia e dalla Serbia, con segnalazioni da parte di chi sta a Tuzla, Sarajevo o Kljuc di un flusso sempre più interessante

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