Dal 26 al 28 febbraio si è tenuto a Tirana il convegno “On the move – The rights and integration of mobile workers”, organizzato dalle Acli e dalla rete EZA (European Centre for Workers' Questions).
Oltre 80 persone provenienti da gran parte dei Paesi Europei si sono confrontati per tre giorni sulle politiche e i servizi necessari per sostenere la mobilità all’interno dell’Unione Europea. Il convegno è stato anche occasione per ripercorrere l’esperienza migratoria dei cittadini albanesi verso l’Europa, e l’Italia in particolare, e per fare il punto sul processo che dovrebbe portare all’ingresso del Paese nell’Unione Europea entro il 2029.
La migrazione albanese verso l’Italia, oltre ad essere particolarmente rilevante dal punto di vista numerico, resta paradigmatica della trasformazione dell’Italia da Paese tradizionalmente di emigrazione a Paese di immigrazione.
Gli albanesi regolarmente residenti in Italia sono circa 400.000, cui si aggiungono i circa 300 mila che hanno ormai ottenuto la cittadinanza italiana, segno di un lungo processo di inclusione. Al di là di questi numeri e delle altrettante storie migratorie, l’Albania resta l’emblema per raccontare l’immigrazione e la sua gestione nel nostro Paese. Una storia che inizia con una nave e si ferma, oggi, in un campo di detenzione.
La Vlora attraccò miracolosamente al porto di Bari, l’8 agosto del 1991. Le immagini di quell’arrivo con il loro portato di stupore rappresentano ancora oggi iconicamente la “questione migratoria” e per il nostro Paese segnano la fine dell’innocenza. Costretti ad abbandonare la retorica delle fatiche subite dei nostri connazionali in cerca di migliori occasioni di vita e del giusto riscatto, ci trovammo ad usare parole come “invasione” e “clandestini”, ad organizzare procedure e strutture per la “difesa dei confini”, accoglienza e rimpatri divennero due visioni inconciliabili, solidarietà e paura programmi elettorali, fredde e brutali procedure burocratiche trovarono e trovano traduzioni quotidiane di buon senso ed umanità.
Se le persone in oltre 30 anni hanno saputo ricostruire storie, relazioni e progetti le istituzioni e la politica pare restino ancora sul porto foraneo di Bari. E così, oggi, la gestione migratoria dell’Italia, ma forse dell’Europa, va letta da Gjader, un piccolissimo villaggio a pochi chilometri da Scutari. A Gjader una vecchia base dell’aeronautica albanese è stata annessa alla sovranità italiana e trasformata in una grande struttura detentiva che a regime dovrebbe contenere fino a 880 persone e rappresentare l’avamposto a deterrenza dell’immigrazione clandestina. Nei fatti, oggi, un mausoleo alla propaganda che ricorda la fortezza Bastiani del Deserto dei Tartari dove un centinaio di poliziotti restano in attesa di un “nemico” che non si sa se mai arriverà e di un domani tutto ancora da costruire.
Se il convegno è stato occasione per ripercorrere storie migratorie, riflettere sulle politiche di gestione della mobilità e dell’immigrazione, infine, per confrontarsi su possibili servizi integrati fra le organizzazioni presenti, per IPSIA è stata anche occasione per raccontare la propria presenza in Albania.
IPSIA e, attraverso questo, il Patronato Acli sono a Scutari e poi a Tirana sin dal 2006. In questi anni si sono promossi e sostenuti percorsi di migrazione regolare, riconoscimento dei diritti acquisiti, progetti di sviluppo economico e sociale. Un coagulo di esperienze che hanno nell’esperienza dell’Arka di Scutari il punto di ricaduta e di ripartenza e che, come molti dei presenti hanno detto, un altro paradigma di quello che potrebbe essere oggi un modo di costruire azione sociale e cooperazione internazionale. Un modello, positivo, che parte ancora una volta dall’Albania.