Condividiamo in allegato scaricabile la ricerca di Lara Cigognini, laureata in Scienze Alimentari e attualmente servizio civile per IPSIA in Kenya, realizzata all’interno delle attività del progetto “Caffè corretto. Sviluppo di una filiera del caffè sostenibile, inclusiva e innovativa” (AID012590/07/9).
La coltivazione del caffè produce una quantità significativa di residui durante il processo di produzione. Purtroppo, questi sottoprodotti vengono spesso trattati come rifiuti invece di essere utilizzati al massimo delle loro potenzialità. Lo smaltimento improprio dei residui di caffè ha portato a una grave contaminazione del suolo e dell'acqua nell'ambiente circostante le coltivazioni.
Le ciliegie di caffè Arabica impiegano circa 7-8 mesi per maturare appieno e il metodo più comunemente utilizzato per la loro lavorazione è il processo a umido. Tale processo basato sull'uso dell'acqua consente di ottenere un caffè di qualità più pregiata del metodo a secco, ma con le metodologie attuali presenta un notevole impatto ambientale. Una volta raccolte, le ciliegie vengono sottoposte a una prima cernita e quelle mature sono poi collocate in una vasca di flottazione. Rimangono nella vasca fino a quando non sono pronte per essere inviate alla macchina depolpatrice, che rimuove la polpa e i frutti non maturi. Dopo questa fase, i chicchi di caffè, ancora ricoperti da uno strato di mucillagine, vengono lasciati fermentare in vasche d'acqua per 12-36 ore, in modo da ottenere un aroma più ricco. I chicchi vengono poi stesi su letti di essiccazione fino a raggiungere il livello di umidità desiderato. Dopodiché, i chicchi vengono portati al mulino, dove viene rimosso lo strato di parchment, uno strato tegumentale, da questo momento i chicchi sono pronti a essere tostati.
È quindi facile intuire che una quantità significativa dei frutti del caffè, sotto forma di polpa, di bucce e di acque reflue a livello di campo, nonché come silverskin e parchment nelle fasi successive, finisce per essere considerata uno scarto di produzione.
Una valutazione condotta nella contea di Kiambu ha rivelato diversi fattori che limitano l'uso tali sottoprodotti a fini energetici e agricoli. Uno dei principali problemi identificati è la mancanza di consapevolezza, sia a livello di cooperativa che di nucleo famigliare, del potenziale valore degli scarti della lavorazione del caffè. Ad esempio molti agricoltori esitano a utilizzare la buccia e la polpa di caffè come compost per paura di una diminuzione della produzione agricola rispetto all'uso di fertilizzanti chimici.
È quindiimportante sviluppare strategie che non solo permettano la valorizzazione del prodotto principale, il caffè, ma che promuovano anche il riutilizzo di questi sottoprodotti per creare nuovi prodotti sfruttabili in vari settori, come l'industria alimentare, energetica e cosmetica. Incoraggiare diverse applicazioni alternative di tali residui non solo contribuisce a ridurre l'inquinamento ambientale e a fare un passo avanti verso una maggiore sostenibilità, ma apre anche nuove strade per espandere il commercio dei coltivatori di caffè.