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Chiara e Silvia
21
Apr
2021

Chiara e Silvia

La nostra esperienza di volontariato con IPSIA parte nell’Ottobre dell’anno scorso quando abbiamo contattato Silvia, chiedendole se avessero bisogno di volontari nelle loro attività con i migranti per qualche mese. Entrambe, infatti, avevamo fatto qualche esperienza con IPSIA nei Balcani ma mai per un lungo periodo e, ora, nell’incertezza della pandemia, abbiamo pensato di cogliere questa occasione per fare qualcosa di nuovo. Da allora c’è voluto qualche mese prima che riuscissimo a partire. Con la chiusura dei confini, è diventato molto difficile muoversi verso la Bosnia a causa della totale mancanza di mezzi pubblici verso il paese. Inoltre, a fine dicembre, l’incendio che ha distrutto il campo di Lipa e l’iniziale incertezza sul destino dei migranti ha prorogato ulteriormente il nostro arrivo, in attesa di capire come la situazione si sarebbe evoluta. Ma non ci siamo perse d’animo ed eccoci ad inizio febbraio finalmente arrivare a Bihac in compagnia di una vecchia ma ancora ruggente Panda. Qui siamo state accolte, oltre che da Silvia, dallo staff locale e da Eleonora, con cui condividiamo anche una bella casa lungo il fiume Una – uno dei più bei fiumi dei Balcani.

Dopo aver ricevuto tutti i documenti necessari, abbiamo iniziato le nostre attività nei campi. Nei primi giorni abbiamo cominciato a lavorare al campo di Sedra, che, a una quindicina di minuti da Bihac, ospita famiglie, donne e minori non accompagnati. Si tratta di un vecchio hotel, stile Jugoslavo, e in alcune parti un po’ decadente. Qui IPSIA ha aperto un social café, ovvero un piccolo centro di ritrovo dove distribuiamo tutti i giorni té caldo e facciamo attività con gli abitanti del campo, quali workshop con i minori e le donne, attività creative e di gioco con i bambini e lezioni di Italiano per gli adulti. Già dalle prime settimane ci è stata chiara l’importanza di queste attività: per molti migranti il campo diventa una sorte di limbo, dove le giornate sono tutte uguali e dove l’incertezza per il proseguimento di un viaggio pieno di pericoli diventa un’attesa interminabile. Questo porta a depressione, dipendenza da psicofarmaci e a un generale peggioramento della salute mentale, anche e soprattutto nei minori e giovani. Questo è purtroppo evidente non solo dai loro racconti ma anche dai numerosi atti di autolesionismo a cui abbiamo assistito. I bambini, per quanto vivaci e vogliosi di giocare come tutti gli altri, portano anch’essi i segni psicologici di un percorso migratorio segnato dalla violenza e le conseguenze di una infanzia passata senza una regolare educazione e formazione. Per tutti questi motivi, le attività che IPSIA porta avanti in questo contesto hanno l’obiettivo di portare un po’ di “normalità”, offrendo dei passatempi per i giovani e coinvolgendo i bambini in giochi e attività artistiche che, da una parte, li distolgono per un momento dalla realtà del campo e, dall’altra, gli offrono una forma di educazione non formale.

Dopo qualche settimana, abbiamo iniziato ad andare anche al campo di Lipa, dove vengono ospitati solo uomini adulti. Qui, dopo l’incendio di dicembre, sono state costruite delle tende dove i migranti dormono e sono stati posti dei bagni chimici. La poca elettricità è assicurata da dei generatori e manca totalmente l’acqua corrente. Grazie alle donazioni arrivate dall’Italia e alla collaborazione con Caritas e la Croce Rossa locale, IPSIA ha potuto costruire tre tendoni, utilizzati come refettori e moschea. Inoltre, da qualche settimana sono state attivate delle cucine collettive dove i migranti possono cucinare i loro pasti. Anche qui, infatti, l’obiettivo di IPSIA è cercare di portare un po’ di normalità in un contesto di evidente difficoltà. Il nostro primo impatto con il campo all’inizio è stato piuttosto traumatico: Lipa, infatti, si trova su un altopiano completamente isolato e desolante, battuto da forti venti e molto più freddo della già fredda Bihac; nel mezzo di questa radura grigia e vuota si trovano i tendoni che ospitano al suo interno quasi mille migranti. Anche qui abbiamo iniziato a distribuire il té caldo e a coinvolgere i migranti in attività ricreative, quali giochi da tavolo, giochi all’aperto (badminton, cricket e pallavolo) e attività artistiche. In pochi giorni, abbiamo trovato delle bellissime persone, che non solo apprezzano molto quello che facciamo, ma che ci aiutano e collaborano attivamente alle nostre attività. Mai avremmo immaginato di trovare così tanti sorrisi riconoscenti a Lipa! E che soddisfazione vederli costruire dei bellissimi aquiloni con il materiale che avevamo portato e farli volare altissimo nel cielo. Il loro entusiasmo ci ha anche ricordato come, nonostante il lungo viaggio e le difficoltà li faccia apparire più vecchi, la maggior parte di loro non ha più di 25 anni ed ha probabilmente iniziato il viaggio ancora minorenne.

A Lipa, inoltre, assistiamo quotidianamente alle conseguenze dei numerosissimi push-back. Molti, purtroppo, tornano a Lipa con i segni della violenza perpetuata dalla polizia croata. Oltre al danno fisico, a volte gravissimo, è evidente in loro il trauma del non comprendere perché sono stati fatto oggetto di una tale violenza senza motivazioni. Con IPSIA, abbiano quindi iniziato a raccogliere testimonianze dei push-back e a pubblicarli sul sito del Border Violence Monitoring Network, sperando che questo porti ad una maggiore consapevolezza di quello che sta succedendo e ad un cambiamento effettivo della situazione. Quello che infatti ci chiediamo ogni giorno è quali siano le prospettive per queste persone, che da anni vivono in un limbo con l’unica speranza di riuscire un giorno a sfuggire dalla violenza della polizia di frontiera e a raggiungere l’Europa. Per molti, ormai, questa prospettiva è sempre più lontana, bloccati dalle conseguenze fisiche e psicologiche della violenza subita. Quale futuro per queste persone? Quale supporto?

Chiara e Silvia

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