Riportiamo un estratto del racconto di "Italian of East" in cui si parla del nostro lavoro a Bihać attraverso le parole di Silvia Maraone.
Qui il reportage completo https://east.italiansofeurope.it/east-coast
[...] 4. Nel caos balcanico [...]
In effetti, da quegli anni molti dei volontari italiani arrivati per la guerra non se ne sono più andati. Per incontrarne altri bisogna continuare verso ovest, riavvicinandosi al confine con la Croazia, lungo altri trecento chilometri e cinque o sei ore di sconnesse strade bosniache. Lì, a Bihac, lavora Silvia Maraone, che in Bosnia è arrivata per aiutare i profughi bosniaci e serbi, ed è rimasta per lavorare con i nuovi migranti. Bihac è infatti uno dei punti caldi della rotta balcanica percorsa ora dai migranti che vengono dal Medio Oriente e dal Nord Africa, come alternativa a quella Mediterranea. Silvia si è trovata così a passare dal caos della guerra, a quello delle migrazioni che nel 2015 portarono centiniaia di migliaia di persone ad attraversare il confine della Bosnia con l’Unione Europea. Lavora nei campi profughi ma si spinge anche oltre, in cima alle montagne bosniache al confine con la Croazia dove i migranti tentano il Game, il passaggio illegale della frontiera.
Decide di salire con noi per fare una piccola ricognizione; dopo pochi chilometri dal campo rifugiati incontriamo una fila di cinquanta, sessanta ragazzi che si incamminano lungo la strada che parte dai campi verdi della campagna bosniaca fino alla cime che rimangono innevate fino ai primi di marzo. Lì i migranti aspettano il momento giusto per passare, che gli viene indicato dagli smuggler che vivono nella zona, spesso anche dentro ai campi rifugiati, fingendo di essere migranti anche loro. Tra i ragazzi che incontriamo nella parte più in alto che si può raggiungere in macchina, alcuni sono al secondo o al terzo tentativo e mostrano i segni della brutalità della polizia croata, che per dare un esempio spesso spacca un braccio, un polso, o li rimanda indietro senza scarpe lungo i sentieri gelati della montagna. I ragazzi parlano a Silvia senza però mostrare paura, quasi ostentando il proprio entusiasmo nei confronti di un’Europa che desiderano raggiungere a qualsiasi costo. Verrebbe da rispondergli che in realtà la Bosnia è già Europa, ma loro intendono qualcosa di differente rispetto a dove ci troviamo: ci parlano dell’Italia e della Germania, dell’Unione Europea, di quell’Europa dove si trova lavoro e che non mostra più i segni difficili di una guerra mai finita. Quell’Europa che di fronte a loro ha costruito un muro alto quanto quelle montagne che quella sera, finito di parlare con noi e Silvia, loro tenteranno di oltrepassare.
Grazie a Italiani dell'Est per la gentile concessione.