Attualmente in Bosnia sono attivi quattro campi per l’accoglienza dei migranti in transito lungo la rotta balcanica, formalmente denominati Temporary Reception Centres (TRC): Ušivak e Blažuj a Sarajevo, Lipa e Borići a Bihać nel nord-ovest del Paese. In questo articolo vi presentiamo il Borići, ex studentato universitario e oggi campo destinato all’accoglienza di famiglie, minori non accompagnati e soggetti vulnerabili.
Come è nata questa struttura? Una riflessione dai volontari in Servizio Civile a Bihac.
IPSIA è entrata ufficialmente al Borići nel novembre dello scorso anno con l’apertura del Social Café e, da quel momento, noi servizi civili insieme ai nostri colleghi bosniaci abbiamo imparato pian piano a conoscerne gli ospiti, così diversi dal target di beneficiari con cui avevamo lavorato a Lipa fino a quel momento. Il campo ha una capienza di 580 posti ma, proprio a partire da novembre, il numero dei residenti è andato progressivamente calando fino ad arrivare a sole 42 persone registrate tra il 6 e il 19 febbraio[1] con una permanenza media che oscilla tra gli 8 e gli 11 giorni. I Paesi di origine cambiano a seconda del periodo: se fino a novembre molti provenivano del Burundi per via del regime visa free con la Serbia che ne facilitava l’ingresso (poi revocato), nei mesi successivi il gruppo più numeroso si conferma essere quello cubano, seguito da afghani e, solo recentemente, da alcune famiglie originarie della Giordania.
La struttura in cui oggi opera IPSIA, insieme ad altre organizzazioni ciascuna con il proprio mandato specifico, ha cambiato volto diverse volte negli ultimi anni e, a guardarla ora, è difficile immaginare come tutto sia iniziato. Per ricostruire la genesi di quello che all’epoca era il primo squat di Bihać, abbiamo parlato con Greta Mangiagalli, volontaria dei Corpi Civili di Pace per IPSIA nel 2018:
La rotta migratoria che attraversa i Balcani dal 2015 si sposta in Bosnia proprio nella primavera del 2018, quando a Bihać iniziano ad arrivare i primi gruppi di migranti. Una volta attraversata la Bosnia, passando per Sarajevo, le destinazioni finali per la maggior parte delle persone erano Bihać e Velika Kladuša.
Dei migranti arrivati a Bihać, alcuni avevano trovato riparo nella struttura che oggi è il Borići, all’epoca un edificio abbandonato e dismesso; molti, invece, dormivano in strada lungo il viale alberato antistante (aleja) o nel vicino parco. Il Borići nasceva quindi come primo squat autogestito nel cuore della città: Greta ricorda tende piantate ovunque, sia all'interno che intorno l’edificio, tanto che a vederlo sembrava un campeggio; la divisione degli spazi era avvenuta spontaneamente: il primo piano era occupato prevalentemente da famiglie, di cui molte afghane, mentre agli altri due piani si erano sistemati per lo più uomini single.
In quel momento all’interno della struttura non era presente alcuna organizzazione e gli unici servizi offerti ai residenti del campo improvvisato erano frutto dell’iniziativa di singoli cittadini e organizzazioni locali, in particolare la Croce Rossa di Bihać. Greta, insieme alla collega di progetto e altre due volontarie di Servizio Civile con IPSIA, si propongono di affiancare la Croce Rossa e i suoi volontari nella distribuzione di vestiti, che si teneva nel cortile interno del Borići. Parallelamente, si incaricano di aprire uno sportello informativo per raccogliere i bisogni dei residenti e orientarli il più possibile sul territorio bosniaco, coinvolgendo l’Ufficio Stranieri quando necessario. Dopo qualche tempo, insieme ai vestiti, la Croce Rossa si occupa della distribuzione dei pasti (colazione, pranzo e cena) all’interno del campo: per i primi mesi Greta e le sue colleghe continuano ad affiancarli nella preparazione e distribuzione dei pasti e nell’organizzazione del magazzino dove erano raccolte le donazioni di vestiti.
La situazione rimane pressoché invariata fino all’apertura dei primi due campi ufficiali gestiti dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM): il Sedra nel luglio 2018 destinato alle famiglie e ai minori non accompagnati e il Bira a ottobre per uomini single. Nel frattempo, comincia la ristrutturazione del Borići per garantire condizioni di accoglienza dignitose alle persone che ancora continuavano ad occuparlo dall’inizio dell’emergenza: i residenti vengono trasferiti nei due nuovi campi man mano che proseguono i lavori, anche se il Borići non sarà mai del tutto svuotato nonostante la ristrutturazione in corso. Si arriva così al dicembre 2018, mese in cui il Borići diventa ufficialmente un campo per famiglie anch’esso coordinato da OIM.
Al termine della nostra chiacchierata, lascio Greta con un’ultima domanda: “Come è stato trovarsi al centro degli avvenimenti nell’anno in cui tutto è iniziato?”
Greta rievoca quei giorni con due parole: caos e adrenalina. Il caos è dato dall’eccezionalità della situazione, dalla necessità di improvvisare con i mezzi a disposizione, da un coordinamento sul campo tra i vari attori coinvolti non sempre semplice e dal carico emotivo che un contesto del genere inevitabilmente comporta. L'adrenalina ha compensato lì dove le difficoltà materiali rendevano a tratti impossibile il lavoro sul campo e ha permesso a Greta e alle altre volontarie italiane di fornire l’assistenza necessaria a chi più ne aveva bisogno, in un momento storico in cui la prima reazione alla migrazione era ancora dettata dai valori di solidarietà e accoglienza.
[1] Situation Reports IOM Bosnia and Herzegovina - https://bih.iom.int/sites/g/files/tmzbdl1076/files/documents/2023-02/01_IOM%20BiH%20External%20Sitrep_6%20-%2019_FEBRUARY.pdf