Scrivere l'articolo conclusivo di quest'anno di Servizio Civile a Bihac è un compito difficile, ma anche un'opportunità per riflettere sulle esperienze e le persone che hanno segnato il mio cammino. La scelta dell’argomento non è semplice soprattutto perché dopo un anno di vita trascorso qui, vorrei poter raccontare di tutte le esperienze vissute, delle persone conosciute e di tutte le nuove scoperte che mi hanno arricchito.
Se dovessi scegliere un simbolo per rappresentare il mio anno a Bihac, sceglierei delle ciabatte di gomma blu. Capisco che sembri un simbolo strano, magari anche brutto, ma vi spiegherò il significato e sono sicura che cambierete idea.
Le ciabatte di gomma blu sono le calzature più diffuse nei campi di Lipa e Borici. Indossate da donne, uomini e bambini, queste ciabatte "vanno di moda" in tutte le stagioni, anche in inverno. Non è una scelta soggettiva, ma una condizione imposta dalle scorte nel magazzino di IOM (International Organization for Migration), che si occupa della distribuzione di NFI (Non-Food Items). Quando le persone entrano nel campo, vengono fornite di scarpe, spesso rimpiazzate dalle ciabatte blu, e di alcuni vestiti, secondo le singole necessità. Non sempre ci sono abbastanza indumenti per tutti, soprattutto quando gli ingressi nei campi sono numerosi.
Quando siamo arrivate qui a giugno 2023, l’estate era appena iniziata. Il sole splendeva, faceva davvero caldo e le ciabatte blu mi sembravano un ottimo rimedio per rimanere freschi. Organizzavamo spesso partite di calcio, di pallavolo o giochi a squadre con i gavettoni, tutti giochi all’aperto in cui bisognava correre o saltare. Mi preoccupava vedere i ragazzi correre con le ciabatte di gomma, giocare a calcio, dribblare e tirare per fare goal. Non era solo per il rischio di farsi male al piede o di prendere una storta, anche perché all’interno dei campi ci sono i medici di DRC (Danish Refugee Council) che forniscono assistenza medica a chiunque ne abbia bisogno.
Le persone che arrivano nei campi hanno percorso una strada lunga e difficile, provenendo da paesi come Afghanistan, Pakistan, Siria, Marocco, Nepal o Cuba. Alcuni riescono a spostarsi con taxi, macchine, autobus, mentre altri affrontano il tragitto a piedi, attraversando boschi, fiumi, fango, pioggia, neve. Una volta arrivati a Bihac, i piedi delle POM (people on the move - persone in movimento) portano i segni di chilometri di strada percorsi con lo zaino in spalla e con scarpe mezze rotte. Le ciabatte blu non riescono a nascondere i segni sui piedi: vesciche, tagli, unghie rotte e nere, croste, lividi. Mi chiedo sempre come abbiano fatto quei piedi a percorrere tutta quella strada. Ma, più di tutto, come faranno quei piedi, spesso massacrati, ad andare avanti? Dovranno affrontare infinite sfide, che non riguardano solo i sentieri o i chilometri percorsi, ma anche "il game", violenze disumanizzanti e massacri della polizia, giorni interi senza cibo e acqua, richieste di asilo respinte, l’inizio di una nuova vita nell’illegalità.
Qui a Bihac siamo in un punto di recupero in cui le persone possono riprendere fiato, riposare non solo il corpo ma anche la mente, ricevere sostegno medico, un posto sicuro dove dormire e del cibo (anche se a volte non è abbastanza), ma soprattutto essere riconosciuti come esseri umani.
Ho lavorato un anno intero nei Social Cafe di IPSIA e ho visto tantissime ciabatte blu. Il mio più grande augurio è che un giorno queste ciabatte diventino solo un ricordo del passato, simbolo di un'epoca superata. Desidero che finisca il massacro illegale lungo la Rotta Balcanica e che le istituzioni e i governi si impegnino a tutelare i diritti umani di tutte le persone, indipendentemente dal loro passaporto. La dignità umana non dovrebbe mai essere un privilegio, ma un diritto universale.