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Chiusi, fuori!
31
Mag
2024

Chiusi, fuori!

Il 4 e 5 maggio la Presidenza Nazionale delle Acli ha scelto di incontrare IPSIA a Bihac dopo aver sottoscritto a Trieste l’appello ai candidati alle prossime elezioni europee ad essere promotori di soluzioni di pace per porre fine ai conflitti. Un viaggio per sottolineare che gli appelli non possono essere disgiunti dalla capacità di mettere in campo azioni tese a lenire le ferite di quanti dalle guerre fuggono e, soprattutto, a rimuovere le cause che di quei conflitti ne sono premessa. Un viaggio per sottolineare le contraddizioni di quanti chiedono pace, aumentando spese militari e retorica bellicista, e quanti, per promuovere principi e valori dell’Europa utilizzano le più moderne tecnologie militari per fermare e perseguire migranti disarmati e indifesi.

Nel corso della visita la presidenza ha avuto l’occasione di incontrare le istituzioni e le associazioni del territorio con cui IPSIA collabora e offrire un segno tangibile della propria vicinanza acquistando le attrezzature sportive per la palestra di una scuola primaria e sistemando la strada che conduce al campo migranti di Lipa. Un sostegno alla comunità residente e uno per i migranti, consapevoli che oggi i bisogni vanno tenuti insieme e non contrapposti.  I progetti a Bihac e la presenza in Bosnia descrivono bene che cosa sa fare IPSIA, ma anche quanto I’ONG sia cambiata negli anni, mantenendo sempre al centro la capacità di costruire progetti di sviluppo con le comunità, perché ne diventino protagonisti e non semplici beneficiari, ma anche la capacità di trovare risposte concrete in una delle ferite aperte della storia contemporanea, quale è la rotta Balcanica.

Il compound appare improvviso dietro la curva, attirando immediatamente lo sguardo fin lì perso fra boschi e greggi. L’ordinata dislocazione dei container bianchi, all’interno dell’area recintata, contrasta violentemente con il bucolico e vasto paesaggio circostante. La dissestata strada bianca che conduce al campo di Lipa non è altro che un ulteriore espediente per isolare i migranti che transitano sulla rotta balcanica. Bihac dista circa 25 km, una quarantina di minuti in macchina, sei ore di cammino. Per i migranti una sosta o una base prima di tentare il “game”, che ha in palio il superamento del confine fra la Bosnia e l’Europa, ma giocato con mezzi molto diversi. Da una parte escamotage di fortuna, pagati a caro prezzo, dall’altra le più moderne tecnologie di avvistamento e identificazione delle persone. Da una parte la speranza in una vita migliore, dall’altra una fredda e brutale organizzazione militare tesa ad impedire l’ingresso in quei i Paesi che proprio sull’idea di pace e dei diritti sociali hanno costruito la propria ragion d’essere. Una battaglia impari, dove paradossalmente i più forti perdono sulla pelle e sulla psiche dei più deboli.

Per la delegazione delle Acli, composta dalla Presidenza delle Acli e da una parte del direttivo di IPSIA, l’improvvisa apparizione del campo, i controlli all’ingresso, gli sguardi sfuggenti degli ospiti, la sensazione di costrizione rendono immediatamente evidenti statistiche e cronache, ma soprattutto la sensazione di trovarsi veramente in uno degli snodi della storia contemporanea. Attraverso la Bosnia Erzegovina, d’altra parte, possiamo leggere gran parte della storia degli ultimi secoli. A Sarajevo con le pistolettate di Gavrilo Princip iniziò il cosiddetto “Secolo Breve” che non si chiuse con la caduta del muro, ma proprio con l’inizio del conflitto (forse meglio dire ‘balcanico’?) in Bosnia Erzegovina nel 1992, dove si infransero le speranze della “fine della storia” ed emersero i prodromi di gran parte dei conflitti successivi, incentrati non più sui blocchi ideologici ma su riferimenti identitari e nazionalisti.

Oggi la Bosnia è anche il crocevia di centinaia di migliaia di storie di migranti che fuggono da conflitti, disastri climatici, governi dittatoriali, da qualunque situazione talmente disperante da valere il costo della propria vita. Per conformazione morfologica la Bosnia è, infatti, al centro della cosiddetta “Rotta Balcanica”. Da qui nel corso del 2023 sono transitate circa 150.000 persone (quasi il 50% di tutti i migranti che sono entrati in UE). Nei volti e nei documenti di questi “transitanti” si possono capire gran parte delle tensioni e dei conflitti attuali, dall’Afghanistan, alla Siria per arrivare al Marocco e al Sudan. La velocità di transito di questo flusso di persone, che ripercorre da Est verso Ovest vecchie vie di commerci più o meno legali, segue il ritmo delle stagioni, dei disastri ambientali, delle guerre e delle velleità politiche dei Paesi e dell’UE. La sosta avviene in alloggi di fortuna, nei boschi, in squat e centri di accoglienza realizzati e gestiti da UNHCR, OIM e Ministero degli Affari Esteri della Bosnia Erzegovina. Lipa è uno dei sei centri di accoglienza per migranti del Paese. A Lipa e Borici ora, e prima nei vari insediamenti e squat di Bihac, opera da anni IPSIA cercando di rendere più dignitose e umane le condizioni di vita dei migranti.

Il Presidente Emiliano Manfredonia, nell’incontro conclusivo con il vicesindaco di Bihac ha sottolineato la ferma convinzione delle Acli per cui “la pace passa solo dall’inclusione e dall’allargamento dei confini dell’Europa, da una cooperazione e da un dialogo fra comunità che spesso, come in questo caso distano meno di 15 chilometri e meno dal punto di vista del comune sentire”.

Quindici minuti separano Bihac dal confine croato e dall’ingresso in UE e mentre consegni distrattamente la sola carta d’identità al controllo veloce non puoi fare a meno di pensare a chi sta tentando per l’ennesima volta il game perché ha in mano un documento sbagliato.

Marco Calvetto - Presidente IPSIA

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