Cari amici e invitati,
siamo arrivati ad un momento importante di IPSIA, giunti al termine di un mandato di questa presidenza durato 10 anni, il momento della restituzione pubblica e ai soci delle attività realizzate.
Sono stati anni complicati e se posso permettermi, sicuramente chi in questi anni ha avuto responsabilità di gestione non se lo dimenticherà facilmente e penso debba esserci riconosciuto un peso e una marcia in più che in qualche modo ci ha anche cambiato.
Se non fosse per l’abuso che del termine si è fatto in questi anni, potremmo dire che siamo stati resilienti Tutto il terzo settore lo è stato, sia all’esterno che l’interno delle proprie organizzazione anche per il contributo che ha saputo dare, comprese molte ONG, durante la pandemia in attività di supporto e di assistenza in Italia.
Al di là della configurazione giuridica, economicamente siamo una piccola impresa sociale che ora presenta il proprio bilancio economico e sociale.
Un risultato positivo che ha portato a triplicare il volume delle nostre attività, merito innanzitutto dello staff di professionisti che ci lavora con passione e che colgo l’occasione per ringraziare nuovamente, consapevoli tutti che non sono risultati acquisiti, ma sempre sottoposti al ciclo mutevole dei finanziamenti, dei bandi, delle progettazioni, della capacità di raccolta fondi.
I numeri e le attività le troverete illustrate nel bilancio sociale io qui mi limito ad alcune sottolineature.
Sicuramente una dei temi che ci ha visto protagonisti e che sarà centrale nelle sviluppo dei prossimi anni è quello legato alle migrazioni e questo mi consente di introdurre il tema e spiegare chi sono le persone a cui abbiamo intitolato la tavola rotonda
Madina Husseini, una bambina afghana di 6 anni in fuga con la sua famiglia dal 2015, profuga presso il campo di Bogovadja in Serbia nel 2016 dove ha incontrato i volontari di Caritas e IPSIA. Nel novembre del 2017 Madina perde la vita investita da un treno mentre si allontana lungo la massicciata dopo essere stata respinta con i familiari alla frontiera croata. Per questo motivo ed eventi correlati la corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo il 18 novembre del 2021 ha condannato la Croazia per i comportamenti e le conseguenze degli atti commessi dalla polizia di frontiera.
Artiom nome di copertura a sua tutela, di un ragazzo di una città dell’Ucraina settentrionale conosciuto e adottato "a distanza" sin da piccolo da una famiglia di un volontario delle Acli e di IPSIA, sin dall'inizio del conflitto parte per il fronte e se ne perdono le tracce. Verrà ritrova vivo prigioniero a Kherson e successivamente rilasciato con un scambio di prigionieri, risulta essere stato più volte torturato. La sua testimonianza è stato raccolta dai commissari della croce rossa internazionale a fine aprile 2022 e successivamente trasmessa all'Aja dove è in fase istruttoria un inchiesta sui crimini di guerra.
Tra questi due nomi, tra questi due tragedie che in qualche modo abbiamo direttamente incrociato, è rinchiuso simbolicamente un decennio attraversato e percorso da fatti ed eventi internazionali di cui ci sfugge spesso la comprensione, la genesi e lo sviluppo, ma oltre questi meta eventi al centro vi sono le tante figure e volti di uomini e donne incontrati in questi anni di una umanità in cammino e in ricerca di una vita degna di essere vissuta. Quando abbiamo pensato il programma della nostra assemblea IPSIA volevamo fosse proprio un’occasione per riflettere insieme sulle prospettive. Era importante uno sguardo da fuori che ci indicasse un percorso ricordandoci il contesto in cui lavoriamo e abbiamo lavorato, e farlo con chi in questi anni è stato un nostro compagno di strada. E qui andiamo al punto che abbiamo voluto ricordare nelle testimonianza di apertura.
Il 24 febbraio 2022 l’invasione russa dell'Ucraina, una nazione libera e democratica con un governo legittimo, ha impresso un turning point storico secolare con il ritorno della guerra nell'Europa continentale sui suoi confini orientali.
Come il testo più volte citato di Francis Fukuyama pensavamo di avere davanti a noi un avvenire di progresso e di pace. La fine della storia. Lo abbiamo pensato in tanti in quel triennio di speranze dal 9 novembre 1989 alla figura di Michail Gorbaciov un triennio cui sembrava avviarsi un nuovo ordine mondiale e pacificato. Che però qualcosa non andasse per il verso auspicato lo sperimentammo subito, con le convulsione del regime comunista jugoslavo travolto dalla guerra civile e poi le guerre nel golfo, nel Caucaso, in Sudan, nel corno d'africa, poi l'11 settembre, l'Afghanistan e la seconda guerra in Iraq e la Siria la Libia. In realtà era finita l'era della pace garantita dalla guerra fredda e non era finita la storia.
In questi anni, il combinato disposto della globalizzazione della fine dei vecchi equilibri geopolitici internazionali ha provocato il completo dissesto della politica internazionale.
Un intero sistema di relazioni di rapporti tra stati, di egemonie politiche ed economiche si è progressivamente dissolto in un quadro in cui non vi è stata nessun nuovo ordine che ha sostituito l’equilibrio della guerra fredda.
Stiamo ancora spalando le macerie del vecchio ordine e i muri portanti occidentali sono ormai insufficienti allo scopo. Le narrazioni ricorrenti suonano oggi apocalittiche fra guerre epidemie disastri ambientali e migrazioni di massa (Lucio Caracciolo).
Alla crescita esponenziale di paesi come la Cina, l’india e il sud est asiatico e dei loro modelli autoritari e dittatoriali, ha fatto da contro altare in occidente, una crisi del sistema finanziario, dei debiti sovrani dal e del sistema politico dal quale non siamo ancora usciti.
Contemporaneamente, ero a Parigi ad un Forum nei giorni scorsi quando vi è stata la commemorazione della strage del Bataclan, un movimento reazionario di massa, un’introversione patologica, una pulsione di morte distruttiva e suicida ha travolto una cultura e una religione millenaria come l’islam, portando il terrorismo nelle città d’Europa, in uno dei momenti politicamente più delicati dei suoi 60 anni dalla brexit alla lunga stagione dell’austerità.
E alla fine l'arrivo dei populismi iniziato con la brexit e l’elezione negli USA di Trump e quelle in Italia, populismo di cui ben più rilevanti e di lungo periodo potrebbero essere le conseguenze di politica interna e di azione culturale profonda.
Perché la secessione del popolo e di una fetta consistenza della fasce intermedie della società dalla normale politica democratica, la poderosa ri-dislocazione di poteri e rappresentanza di interessi che ne potrebbero seguire, sembrano consolidare letteralmente sotto i nostri occhi, i contorni di un nuovo assetto, di una delle possibili risposte ed uscita dalla crisi posta dai processi di globalizzazione di questi anni;
Se nel “secolo breve” dalla guerra mondiale, si usci con un compromesso keynesiano, la nascita del welfare state, un compromesso tra stato e mercato, capitale e lavoro, oggi potrebbe profilarsi un nuovo compromesso tra le libertà e il mercato, dove alcune delle garanzie, del sistema dei diritti e delle procedure, della distinzione ed equilibri di potere, della democrazia che abbiamo sin qui conosciuto, potrebbe arretrare sensibilmente verso nuove ed inedite forme di autoritarismo, di fronte ad un nuovo rapporto tra masse e potere.
Il tutto in cambio di un processo di inclusione della "gente" che avverrebbe non con l'ampliamento della sfera dei diritti e delle responsabilità e dell'emancipazione, ma solo su un piano acquisitivo individuale consumistico e di accesso alle risorse, : una risposta rapida e diretta a bisogni desideri, pulsioni e paure: un contenitore per la società liquida tante volte evocata da Bauman.
Ci troviamo a gestire una rabbia sociale che non nasce affatto dalla aspirazione ad inesistenti alternative di sistema o nuovi mondi possibili, ma dal senso di esclusione di interi corpi sociali dai processi di modernizzazione capitalista, di benessere e sicurezza.
Una fase che sembra consegnare per lungo tempo al populismo su parole d’ordine allo stesso tempo identitarie e divisive, revansciste e moderne, la rappresentanza e la voce a ceti e gruppi sociali che la politica non riusciva più a raggiungere.
Sono gli stessi ingranaggi delle democrazie rappresentative che scricchiolano pesantemente di fronte alla pressione di masse che desiderano un esercizio diretto del potere sollecitate dagli appelli al popolo, dalla consultazione continua, dalla rilevazione in diretta dell'opinione e del consenso, l'uso del web e dei social media che hanno sostituito le piazze del dibattito pubblico. Tutti processi che sono stati accentuati poi dall’impatto di una pandemia secolare che a ha dimostrato tutte le nostre fragilità individuali e collettive
Insomma una forma della politica, dell'organizzazione e rappresentanza degli interessi, un' idea e una prassi dell'occidente e del novecento si è chiuso definitivamente alle nostre spalle con un accelerazione improvvisa.
Ed è evidente perciò che se finisce l’universalismo giuridico e l’illusione di un ordine mondiale liberaldemocratici qual è il criterio generale che può rivendicare e legittimare il potere oggi? Se non il diritto storico, del suolo, del sangue, dei confini territoriali, lo ius belli?
Ed è esattamente quello che sta succedendo in ucraina e non solo e non da oggi. A tutto ciò non sappiamo rispondere se non con afflati etici.
Mentre qui si svolgeva la manifestazione per la pace io ero a Leopoli: fa un certo effetto vedere sul cellulare le immagini del corteo pacifista mentre tu sei nello scantinato di un edificio durante un allarme missilistico. Occorre assumere l’etica weberiana della responsabilità che è quella di chiedersi ma se noi fossimo il paese invaso cosa faremmo? Cosa vuol dire pace quando ti aggrediscono dall’aria e da terra?
Non basta dire pace diventa una retorica stucchevole. Ma occorre domandarsi come si costruiscono e quali sono le condizioni politiche che rendono possibile la pace.
Un altro tema ci interroga profondamente, inedito e per certi aspetti incomprensibile al nostro mondo (e che è stato il vero elemento sottovalutato sia da parte russa ma anche dalle cancellerie occidentali all'inizio del conflitto): la forza della resistenza ucraina è in gran parte dovuta al fatto che a Kiev stiamo assistendo a costo di enormi sacrifici e di vittime, ad un impressionante processo di costruzione nazionale che mette al centro come valore fondativo l’ identità nazionale e l’appartenenza patriottica allo stato.
Gli ucraini hanno dimostrato di essere disposti a combattere per la propria libertà per la propria patria, rischiando e sacrificando la propria vita. E noi? noi qui nel 2022 nel nostro paese, saremmo disposti a tanto?
Stiamo vivendo di riflesso un contesto nel quale la politica torna ad essere scabra ed drammatica: un pezzo di Europa si sta ridefinendo nella contrapposizione con il nemico e nello stato di emergenza si rinforzano valori neo-nazionalisti ed emergono linee di frattura definite in modo brutale.
Le conseguenze e l'impatto di questa guerra in termini geopolitici, sull’ economia globale, sugli equilibri di potere fuori e dentro gli stati. sulla sopravvivenza o meno di quel simulacro che è rimasto del diritto internazionale, saranno enormi.
Ma la politica ci interroga continuamente su un altro nostro tema di lavoro: le migrazioni.
Non è possibile assistere nuovamente allo stantio confronto ideologico sugli sbarchi da parte del governo Si criminalizza ancora una volta chi fa il suo mestiere e dovere che è quello semplicemente di salvare le persone in pericolo, dovunque e chiunque siano: santi o peccatori, senza distinzioni razza, religione, sesso, condizione sociale o appartenenza politica. Le persone arrivano e continueranno ad arrivare via mare o via terra. Occorrerebbe riconoscere che nel 2022 dopo tutto quello che è successo, il principio del primo approdo e ingresso formulato nel trattato di Dublino pensato nel 1988 e approvato nel 1990 non ha più alcun senso.
Quello che succede sulla Rotta Balcanica ne è la riprova. Li non ci sono né barche né Salvini, ma come emerge dai report recenti sulla rotta dall‘inizio dell’anno si sono contati 280 mila ingressi di cui 22 mila solo ad ottobre 2022.
Vi sono strutture di accoglienza sui confini dell'area Schengen e la pretesa della Ue che i poveri e fragili paesi balcanici se ne facciano carico. Semplicemente una vergogna. Nel 2022 i confini non sono dei singoli stati del sud est e del mediterraneo, sono europei Bisogna insistere sulla ricollocazione obbligatoria pro quota fra gli stati UE. Riaprire e potenziare canali legali di ingresso.
Ma Le nuove sfide sociali ed emergenziali determinate dalla pandemia, hanno visto le ONG affiancare alla attività di cooperazione all’estero una presenza progettuale nel nostro paese, pensiamo nelle nostre città al grande tema della scuola e della cosiddetta povertà educativa.
Anche IPSIA ha lavorato sul tema e in un mondo attraversato sempre più spesso, sempre più duramente e sempre più profondamente da fratture e disparità, è oggi un dovere morale costruire reti di solidarietà e di giustizia sociale che tengano insieme la dimensione globale e quella locale,
Questo impegno sulla solidarietà nel nostro paese ha aperta un grande tema di riflessione sulle politiche sociali oggi.
Lo dico perché qui a Milano la sfida è enorme. Una citta sempre più ricca costosa che asseconda i bisogni materiali e immateriali dei ceti più abbienti, in un apparenza di consumismo accessibile a tutti, ma che nasconde il formarsi di nuove gerarchie che si possono scorgere risalendo con lo sguardo i piani dei grattacieli scintillanti della new town e di city life, residenza dei nuovi ricchi e potenti. Al di fuori possiamo trovare esclusione e povertà drammatiche ma per quanto eticamente insopportabile, queste non scalfiscono la tenuta dell'insieme, con il rischio semplicemente di abituarsi a convivere con la povertà sotto le proprie finestre o la porta accanto.
Ecco qui io vorrei dire una cosa, un richiamo del monito di Paolo VI nell'APOSTOLICAM ACTUOSITATEM sull'azione caritativa: "non si offra come dono di carità ciò che è già dovuto a titolo di giustizia; si eliminino non soltanto gli effetti ma anche le cause dei mali; l'aiuto sia regolato in modo che coloro i quali lo ricevono vengano, a poco a poco, liberati dalla dipendenza altrui e diventi sufficienti a se stessi". Mi permetto di aggiungere che le politiche sociali non possono semplicemente essere l'apertura dei convito alla servitù dopo che i padroni sazi si sono alzati dal tavolo. Occorre ricominciare dai diritti sociali di tutti e per tutti.
La meglio gioventù
Ma come sapete la nostra seconda gamba, oltre alla cooperazione allo sviluppo è rappresentata da tutto il settore del volontariato, il servizio civile i programmi e gli scambi giovanile, i percorsi di educazione alla cittadinanza, l’aggregazione.
Ma nel collegarsi nel proporsi e coinvolgere il mondo giovanile dobbiamo aver il coraggio di dirci alcune verità I flussi informatici che ci attraversano e sui quali i giovani, i millennials e le nuove generazioni z formano le loro identità, stanno provocando un mutamento profondo
Le tecnologie digitali stanno incidendo sul quadro antropologico. virtualità, connettività interattività continua, riplasmano le fonti le stesse della conoscenza e le facoltà cognitive.
Come il passaggio dal verbo alla scrittura, il passaggio alla carta stampata, come la rivoluzione industriale dell'ottocento come la nascita della televisione e dei media, si tratta una rottura tecnologica evolutiva epocale.
Mentre i grandi mediatori istituzionali politici ed educativi faticano a trovare un nuovo ruolo, il sapere diffuso alimentato dai vari wikipedia e social, fa saltare la sacralità del sapere. Le aule delle scuole e dell’università con al centro l’insegnante di fronte agli studenti: passa ancora da li la conoscenza? Che cosa trasmettere? come trasmettere? A chi? In questo cambio di paradigma sociale e culturale che formazione? Che idea di se e degli altri? e della comunità di appartenenza soprattutto in quei contesti in cui la società multiculturale si è già concretizzata da anni e in cui siamo già oltre l’orizzonte monoculturale e religioso in cui sono cresciute le nostre generazioni.
Nella fasi della vita degli adolescenti, dei giovani, dei giovani adulti, i cambiamenti arrivano in modo immediato: si sarebbe voluto avere più tempo, per parlare, per capire, per passare delle esperienze. Non si può. la realtà arriva prima : Non siamo pronti alla velocità di queste trasformazioni, bisogna perciò avere, non solo capacita d’ascolto, ma anche sempre di ridiscussione. Chi lavora con i giovani si rende conto di questo passaggio leggero, di questa appartenenza debole e volatile, di questo delega sempre pronta ad essere ritirata, di queste identità incerte. E noi non possiamo limitarci a stigmatizzare, ristabilire confini, ricordare il tempo che fu, illudersi di tornare indietro, perché la persona che hai davanti ti interpella per quello che è, non per quello che vorremmo che fosse, chiede una risposta, un ascolto, oppure semplicemente chiede di poterci essere.
Per questo la sfida educativa è centrale ed è una sfida per noi e per tutti; per questo IPSIA, mettendo a sistema le proprie competenze le reti le esperienze sia con le istituzioni scolastiche sia in quella che chiamiamo educazione informale, negli anni scorsi ha investito su progetti educativi nelle periferie di Milano.
La sfida educativa
Lo ha ricordato Mauro Magatti nella presentazione di un suo ultimo libro: quando i nostri padri nella meta fine ottocento, laddove scriveva il 5 percento della popolazione, proposero la scuola obbligatoria per tutti, li presero per matti, ma era un pensiero visionario, di futuro, ci si rendeva conto che nella nascente società industriale c’era bisogno di alzare il livella minimo di istruzione della popolazione altrimenti le cose non sarebbero state in piedi. Noi ora siamo in una situazione per certi versi simile, l'evoluzione delle tecnologie, la complessità sociale, la grande trasformazione dell'economia e del lavoro, hanno provocato un ritardo educativo e formativo diffuso molto grande. Per reggere dobbiamo avere una pensiero che accompagni e ci accompagni per aumentare la comprensione di quello che sta succedendo attorno a noi. Il tema della formazione va rimesso al centro se no le democrazie non potranno sopravvivere, perché la velocità delle altre trasformazioni degli altri comparti della nostra vita sociale è troppo forte.
IL nostro compito
mi permetto di leggervi un pensiero attribuito erroneamente a Jorges Louis Borges, molto diffuso e digitato sulla rete ma che in realtà ad oggi non si sa chi lo abbia realmente scritto:
"Ci sono momenti in cui si deve vivere la propria vita per capire se stessi. Perché si cambia, il nostro mondo cambia, cambiano le cose senza che te ne accorgi, un mattino ed è come se ti svegliassi dopo cento anni E ti chiedi cosa sia successo a te, dov'eri tu che non te ne accorgevi. Chiedi, ma nessuno risponde. Non sai bene se la vita è viaggio, se è sogno, se è attesa, se è un piano che si svolge giorno dopo giorno. Non sai se ha un senso. Ma In certi momenti il senso non conta. Contano i legami".
Nulla più di questa frase può fare sintesi migliore dell’analogo sentimento di spaesamento che anche noi stiamo vivendo e allo stesso tempo la ricerca di un punto fermo. Abbiamo la fortuna di vivere un momento unico quello che Karl Jaspers a proposito delle religioni chiamava un momento assiale.
Jaspers fece un una osservazione, la constatazione che tra l’800 ed il 200 a.c si era registrata una sincronia di pensieri e uomini che poi hanno fondato tutto quanto si è successivamente espresso nella formazione delle principali civiltà. Confucio, Laozi, Buddha ma anche la composizione delle Upaniṣad, l'Antico testamento, Esiodo ed Omero. Jaspers individuò questo periodo come una svolta, un tornante che s’inerpica intorno ad un asse, dove queste espressioni culturali erano più o meno sincroniche
In modo analogo sta avvenendo oggi con gli effetti uniformanti della globalizzazione vediamo all’opera la tendenza del genere umano ad interconnettersi formando una più o meno fitta, unica, rete fatta di reti, paure pulsioni, visioni identiche, problemi politici economici culturali simili fra loro, criticità e potenzialità sembrano emergere improvvisamente in contemporanea uguali in tante parti del mondo. Tutto è in ridiscussione, i vecchi mondi sono tramontati ma i nuovi non sono ancora arrivati, trasformazioni, ominescenti, elementi di continuità e discontinuità che si alternano.
I cambiamenti sono tali che forse solo alla fine quando si saranno pienamente dispiegati ne scorgeremo il profilo, gli elementi di valore, di continuità e di senso, le tracce mnestiche.
Come ha scritto anni fa il direttore dell'Istituto Gramsci, Aldo Schiavone, se spostiamo lo sguardo verso strati di storia più profondi e remoti ci rendiamo conto che quella politica quella narrazione della quale molti si sento orfani, quell’ adesione ad un messaggio, ad una ideologia, ad una verità, sono sempre stati solo dei mezzi, degli strumenti attraverso i quali si cercava di realizzare una tensione e una spinta molto anteriore : l’idea che una volta eravamo soliti rappresentare come emancipazione radicale e che ora ritorna come possibilità di una conquista della propria pienezza individuale, fuori da ogni condizione di minorità precostituita per tutte gli uomini e le donne del nuovo millennio.
Non vi è alcun motivo di abbandonare questi pensieri solo perché le vie che lo hanno reso famigliare hanno esaurito il loro compito: c’è un elenco pubblicato dal giornale The Guardian, qualche anno fa: l' elenco dei 34 mila morti accertati tra chi in questi decenni ha cercato di arrivare in Europa. Ne seguiranno altri di elenchi, ma altrettanti e di più sono quelli che si sono salvati. Questo per dire che quando dovremo render conto non fosse altro ai nostri figli e nipoti dove eravamo quando succedevano queste cose potremo con coraggio dire che c eravamo e abbiamo fatto quel che si poteva fare ed era giusto fare e di questo saremo sempre orgogliosi. La difesa dei deboli, l’emancipazione delle persone, dei popoli la loro autodeterminazione e la crescita in giustizia sono un dovere morale, una volta limitato a chi viveva negli spazi dei nostri paesi, ma consapevoli ormai che l’umanità violata non conosce confini, non ha geografie ed incalza e si insinua per cercare ai margini della nostra società rifugio protezione e speranza.
L'augurio che faccio a tutti noi e a quelli che seguiranno nell’impegno dopo di noi e di mantenere sempre questa tensione e questa spinta interiore.
Grazie a tutti,
Mauro Montalbetti
presidente IPSIA