Le sorti di Dilma: La tangentopoli del Brasile
Paulo Lima
Nella domenica del 17 aprile, in Brasile c'era un'atmosfera che ricordava la finale dei Mondiali di calcio. La partita si giocava però tra i sostenitori e gli oppositori del governo dentro la Camera dei Deputati, che ha approvato con 367 voti favorevoli e 137 contrari l’apertura di un procedimento di impeachment nei confronti della presidente di sinistra Dilma Rousseff (Partito dei lavoratori-Pt). Una sconfitta durissima per il governo, che fino all’ultimo aveva sperato di avere i numeri per bloccare quel che Dilma ha definito “una flagrante ingiustizia, una frode politica e giuridica”.
Il governo ha ammesso la sconfitta. Un voto non ancora definitivo, poiché il procedimento deve ora passare al Senato, dopo di che la presidente Dilma avrà fino a 180 giorni di tempo per difendersi davanti alla Corte costituzionale. Il Senato dovrà poi votare una seconda volta e, solo in caso di voto favorevole, Dilma decadrebbe dall’incarico.
Ma quale accusa pesa sulla presidente, ex guerrigliera che ha combattuto la dittatura militare, “delfina” dell'ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva e prima donna ad essere stata eletta alla guida del gigante sudamericano?
In realtà, la richiesta formale di destituzione non ha niente a che vedere con l'operazione Lava Jato (Autolavaggio), un'edizione brasiliana dell'Operazione Mani Pulite. Deflagrata due anni fa sotto il coordinamento del mediatico Sergio Moro, un giudice di Curitiba nel sud del Paese, l'operazione ha svelato lo schema di corruzione con un vasto giro di tangenti installato nella Petrobrás, il colosso petrolifero statale accusato di aver distribuito oltre 2 miliardi di dollari in mazzette.
Da quelle indagini, grazie alle testimonianze dei pentiti, sono stati scoperti altri scandali che coinvolgono deputati e senatori di piccoli e grandi partiti, di centro, destra e sinistra e alcune autorità del Paese come il presidente del Senato, il presidente della Camera dei Deputati e il vice-presidente Michel Temer. Fino ad ora sono state realizzate 26 operazioni con decine di arresti. Ad ogni indagine vengono a galla molte altre denunce che hanno decapitato anche i vertici del Partito dei lavoratori ed hanno coinvolto direttamente persino l’ex presidente Lula. Allo stesso tempo, però, è palese che le procedure utilizzate dagli inquirenti, discutibili dal punto di vista legale ed etico, stanno squalificando l'operazione facendole perdere l'imparzialità. In alcuni casi stanno violando prerogative costituzionali.
La richiesta di impeachment non ha a che fare con nessun'altra iniziativa di lotta alla corruzione. L'accusa contro Dilma è di aver fatto le cosiddette “pedaladas fiscais” (“maquillage fiscale”) sul bilancio del 2014, anno della sua seconda vittoria elettorale. Si tratta di una prassi amministrativa ampiamente adottata in passato da tutti i suoi predecessori senza conseguenza alcuna. Dilma ha semplicemente messo denaro della Cassa Economica Federale nei programmi sociali, per poter chiudere i conti e, l'anno successivo, ha restituito i soldi alla stessa Cassa.
Chi dirige la campagna per la destituzione di Dilma è il Psdb, partito di opposizione sconfitto nelle elezioni presidenziali del 2014. Il suo candidato, Aécio Neves, mira ad ottenere in questo modo il risultato politico che non è stato capace di ottenere alle urne dove, 54.499.901 di brasiliani e brasiliane hanno votato per Dilma (3,4% in più rispetto a quelli che hanno votato per Aécio al secondo turno).
Ecco perché movimenti e organizzazioni sociali, ma anche osservatori internazionali e la stessa Organizzazione degli Stati Americani (Oea), dicono che in Brasile è a rischio lo Stato di diritto e la democrazia, visto che la presidente non avrebbe commesso finora nessun crimine. Di fatto non è indagata dalle autorità giudiziarie in nessuna delle inchieste per corruzione che coinvolgono invece altri politici brasiliani.
Lo scenario che si è aperto dopo il voto della Camera non è dei più semplici. In caso di allontanamento definitivo di Dilma, l'attuale vice, Michel Temer, e il presidente della Camera, Eduardo Cunha , dovrebbero assumere rispettivamente la carica di presidente e vice presidente fino alle prossime elezioni presidenziali del 2018. Sono entrambi del Partito del movimento democratico brasiliano (Pmdb, centrodestra) che fino al 29 marzo faceva parte della coalizione di maggioranza. Tutti e due accusati di corruzione e coinvolti in procedimenti giudiziari.
Non a caso, in un sondaggio reso noto due giorni fa dall'Istituto Datafolha, sia i manifestanti contrari al governo sia quei favorevoli che sono andati a protestare la scorsa domenica, dicono “no” ad un eventuale governo della coppia Temer-Cunha.
“Sarebbe il governo dei più corrotti”, dicono tutti. E questo può portare a una nuova ondata di proteste, perché la maggioranza delle persone che ha manifestato finora, compreso chi è sceso in piazza contro Dilma, è contro la corruzione che questi signori incarnano.
A pochi mesi dalle Olimpiadi di Rio e sotto l'emergenza sanitaria causata dall'epidemia zika, il Brasile dunque tende a diventare ancora più polarizzato tra sostenitori e oppositori del governo e rischia di affondare in un periodo caotico e di intensa instabilità politica.
Paulo Lima é giornalista brasiliano, fellow di Ashoka imprenditori sociali e collaboratore di IPSIA del Trentino-ACLI trentine