I Maasai sono una delle tribù africane più conosciute nel mondo: residenti prevalentemente in Kenya e in Tanzania, rappresentano spesso nell’immaginario occidentale lo stereotipo delle tribù africane, caratterizzate dai propri abiti tradizionali. Sono principalmente Maasai anche i gruppi di donne coinvolte nel progetto Coltivare il futuro, realizzato da IPSIA in Kenya, nella contea di Laikipia, grazie al contributo della Cooperazione Italiana.
Gli ospiti del gruppo vengono ricevuti dalle donne abbigliate per l’occasione con vestiti e abiti tradizionali, come quelli della foto, che facilmente attraggono l’attenzione e la curiosità dei viaggiatori. L’occasione per approfondire il significato di questi simboli tradizionali è stata recentemente offerta dall’avvio del lavoro di redazione di una guida turistica che valorizzi le possibilità del territorio.
Come l’economia generale del Kenya, anche i gruppi Maasai di Laikipia hanno sofferto profondamente la crisi del settore turistico conseguente la situazione pandemica. Gli interventi di IPSIA, che avevano puntato anche sul rafforzamento della componente di ricettività turistica per migliorare le condizioni socio economiche delle comunità, hanno subito i contraccolpi della situazione internazionale.
Ora, nel 2022, si iniziano a notare segni di ripresa, e i gruppi coinvolti nel progetto arrivano all’appuntamento con nuove strutture per ospitare i viaggiatori, recentemente terminate grazie al progetto. La guida turistica in cantiere, rispetto a cui IPSIA si avvale della consulenza redazionale di Altreconomia, costituirà un ulteriore strumento per far conoscere la ricchezza culturale e paesaggistica di questi luoghi.
Ciò che cattura immediatamente sono i colori, le trame e le forme dei monili che indossano queste donne. Ma la scoperta più interessante riguarda i molteplici significati che stanno dietro questa esplosione di colori sgargianti.
L’abbigliamento tradizionale è composto dal tessuto Maasai chiamato Shuka, da collane e da bracciali. Se in passato il vestiario era realizzato con pelli di bovino o di pecora tinte con colori naturali, negli anni 60 questo materiale è stato sostituito con tessuti di lana o di cotone. Ci sono diverse interpretazioni sull’origine di questo cambiamento. Una delle più accreditate, per quanto possa far sorridere, è quella che siano stati i colonizzatori scozzesi ad incominciare a esportare e a vendere la stoffa con cui era fatto il kilt - il tipico indumento maschile - agli uomini e alle donne Maasai. Così come il vestiario anche la composizione dei monili ha subito una trasformazione: se prima venivano creati tessendo insieme semi, pietre e ossa reperibili in natura, adesso vengono realizzati con perline di vetro colorate intrecciate con filo di ferro o di nylon.
Ogni colore ha poi un suo significato. Partiamo da quello dominante, il rosso, che simboleggia la cultura Maasai e la forza: secondo questa tribù questo colore ha la funzione di spaventare gli animali selvatici; il blu, che rimanda al colore del cielo e dell’acqua, non può che rappresentare la vita; l’arancio la generosità e l’ospitalità di questa tribù; il bianco è il colore del latte, fonte di sostentamento e di energia; mentre il verde rappresenta la natura, che offre cibo e nutrimento agli esseri umani.
Così come i colori anche la forma e lo stile di ciascun oggetto hanno un preciso significato e ci raccontano la storia personale di chi gli indossa. Dalle trame, dai colori e dalle forme è possibile capire l’età, la posizione sociale, se una donna è sposata o meno e il numero di figli. Oltre a questo simbolismo i collari e i gioielli hanno una funzione estetica molto importante durante la fase di corteggiamento, a tal punto che le donne trascorrono buona parte del loro tempo alla creazione di essi e alla cura della propria immagine.