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Stesse immagini, stesse narrazioni, stesse parole
30
Nov
2021

Stesse immagini, stesse narrazioni, stesse parole

Davanti alle drammatiche notizie provenienti dai confini orientali, non posso non sottolineare con amarezza che è dalla crisi siriana del 2014 che si ripetono purtroppo le stesse immagini narrazioni e le stesse parole...
la Libia, la Turchia, il Marocco, la Spagna, le isole greche, la Rotta Balcanica, le Canarie, la Bielorussia e la Polonia e domani?
 
Come operatori IPSIA siamo testimoni da anni di quel che succede nei Balcani e nel sud est europeo, paesi impoveriti e fragili su i quali si è scaricato il controllo delle frontiere esterne UE.
Abbiamo imparato a memoria i nomi di questi non luoghi. All'inizio sembrava solo Lampedusa, poi via via sono arrivati Moira, Lesbos, Idomeni, Presevo, Vucjak, Lipa, Calais, Ceuta, Melilla, Kuznica...
 
"Non luoghi" dove i corpi e le sofferenze sono nudi simbolicamente e nella realtà, dove nelle ultime drammatiche vicende si manfiesta quello che era già chiaro da tempo anche in altri contesti: i corpi stessi dei migranti usati come proiettili, armi, in una prosecuzione del conflitto politico fra stati sotto altre forme. Oggi la Bielorussia, ieri la Bosnia, temo tuttavia che la narrazione umanitaria, duri giusto l'espace du matin del circo mediatico per tornare daccapo nel silenzio della quotidianità. Potrei facilmente prevedere, dopo i clamori, quali saranno in bielorussia le prossime mosse: gli appelli, le visite istituzionali di commissari ONU, lo sgombero dei campi e poi la loro ricollocazione in altri luoghi. A quante altre Kuznica e Lipa dovremo ancora assistere? La coazione a ripetere gli stessi comportamenti e direi gli stessi errori e' sintomo di una patologia nevrotica che andrebbe curata. Qual è la cura?
 
La societa civile fa la sua parte nell'aiuto e nella denuncia, ma non basta una mera pedagogia che alla fine sfocia solo in una retorica ripetuta. Non basta lamentarsi delle politiche di sicurezza e di confinamento sostenute dall'Unione.
Parlare e invocare il diritto di libertà di movimento per tutti le persone extracomunitarie diventa un velleitario slogan da cenacolo intellettuale che si scontra con il fatto che a tutti i cittadini europei vengono chiesti visti e documenti oltre i confini UE.
Mentre il diritto d'asilo politico e quello umanitario per i perseguitati, questo si un vulnus nel nostro paese, viene disatteso anche in quelle nazioni che già lo prevedono.
Serve un surplus di realismo che significa guardare la realtà per quello che è, non per quello che vorremmo che fosse.
 
Le immagini e i respingimenti in polonia sono illegali come quelli in Grecia, Slovenia, Croazia, Italia, sulla rotta balcanica. Perché le piazze d'Europa non manifestano numerose e rumorose?
Spiace dirlo ma la morte di bambine e bambini, finito la commozione del momento, pare non smuovere più di tanto le coscienze politiche e non porta ad un cambio di paradigma, cosi come non è servita quella del piccolo Alan Kurdi nel 2015.
Se nonostante il ripetersi di situazione umanamente vergognose ai nostri confini, anche l'ultimo incontro del Consiglio Europeo dei Capi di Governo, massimo organo di indirizzo politico della UE, sul tema delle politiche migratorie si è concluso con un nulla di fatto, occorre avere la consapevolezza che le migrazioni in Europa sono oggi un tema divisivo ovunque: nella società e trasversale in tutte le forze politiche sociali e sindacali. Lo dimostra il fatto che su altri temi legati ai diritti civili, come le battaglie e le issues sul fronte LGBTQ, per non parlare del clima, si registra nell'opinione pubblica e nella politica, un livello di mobilitazione e coinvolgimento che non é minimamente paragonabile a quello su i diritti dei migranti. Questa differenza indica che la questione colpisce ma divide il corpo sociale e anche il suo immaginario in maniera tale che non si esorcizza e non si risolve con le declamazioni, le denunce , le marce e le pressioni dei social media, eppure nel dibattito pubblico prevalgono ancora solo echo chambers e mondi a favore e contro che si danno ragione al loro interno ma non si parlano. La peggior cosa che potremmo fare però e' continuare a non imparare dalle crisi.
 
Non avvenga che si offra come dono di carità cio che è dovuto a titolo di giustizia affermava l'Apostolicam Actuositatem, del Concilio Vaticano II nel 1965. Per questo bisogna cambiare le politiche pubbliche degli stati, incarnare i diritti nelle persone.
Ma per farlo aiuterebbe anche che l'associazionismo il mondo solidale, vada oltre il limite di un pensiero desiderativo e sloganistico sempre concentrato sull'obiettivo finale e mai sul percorso, su i mezzi, le prassi, le risorse e le fattibilità per ottenerlo e per le quali occorre costruire faticosamente il consenso nelle opinioni pubbliche, nei governi e nei parlamenti.
 
Mediare tra esigenze e interessi e diritti nazionali diversi. Smontare dall'interno le paure, i timori che innescano la xenofobia, comprendere il senso di insicurezza che viene poi alimentato ad arte dai razzisti. In attesa di riformare i trattati, usare lo strumento e il meccanismo di cooperazione rafforzata per la redistribuzione dei profughi tra gli stati europei. Non è possibile continuare a scaricare il problema sugli Stati di prima accoglienza ai confini geografici dell Unione e caricare su i piu deboli, in un conflitto tra fragili, i costi e gli oneri della sfida sociale e culturale dell'integrazione.
Ma abbandonare la logica di emergenza significa far rientrare la spesa per i migranti nella spesa sociale ordinaria a carico dei sistemi di welfare nazionali, non suddividendo le stesse risorse ma aumentandole.
 
Che fine ha fatto l'european pillar of social rights? il terzo pilastro? L'Europa sociale, i principi di Goteborg del 2017?
 
Ripristinare un sistema di canali di ingresso legale e regolarizzato di migranti legato in primis al mercato del lavoro. Accordi bilaterali fra stati per i visti e i permessi di studio.
 
La meschina polemica politica di questi anni si è concentrata sulla critica agli operatori e le organizzazioni del primo soccorso, salvo poi dimenticarsi tutti spesso dei migranti una volta salvati. Ma la vera difficile sfida inizia finite le feste e le cene multietniche e i post dei welcome refugee, nella vita quotidiana delle nostre città. Poi che ne è di loro? In italia finito il percorso negli Sprar chi se ne occupa?
 
Quanto pesa la scarsa efficacia di reali prassi e politiche di intergrazione nella costruzione di un immaginario e di un giudizio negativo su i migranti?
Quanto pesa la natura di un mercato del lavoro che fa dei migranti un esercito di forza lavoro irregolare a cui attingono evasori e caporalato e fa concorrenza salariale al ribasso tra le fasce piu deboli e meno tutelate del mercato interno?
Inutile chiudere gli occhi davanti al fatto che persone migranti abbandonate a se stesse in ogni luogo e paese possono diventare manovalanza della illegalità.
 
Ma quanto atteggiamenti e stereotipi razzisti sarebbero piu intellegibili e contrastabili, se si dicesse chiaramente, con i classici della sociologia, che sono precise situaziono di povertà, di marginalità e non certo etniche, alla base delle devianze, della illegalità e della microcriminalità?
In attesa che in un futuro indefinito cambi il paradigma securitario, e senza nulla togliere al prezioso lavoro di monitoraggio e denuncia delle violenze alle frontiere, non avrebbe senso investire risorse sulla formazione, la preparazione e la cura delle nostre forze di polizia e di sicurezza e sulla mediazione linguistico culturale, per un approccio che sia rispettoso dei diritti e della dignità dei migranti?
 
Il terzo settore non ha nulla da dire su questi punti? Se si ha coscienza di cosa sono stati questi anni, nel convergere di piu crisi, culminate nell'epidemia covid e di come queste hanno inciso nel corpo sociale dei nostri paesi, si comprenderà che non sono temi facili da affrontare e su i quali costruire una maggioranza di consensi nei paesi reali della UE.
 
Ma o stiamo su questo piano e proviamo a costruire un agenda di politiche, disponibii ad un confronto con quella parte, consistente, di società timorosa di politiche di apertura e provare a costruire un quadro di misure e di interventi condivisi o saremo sempre una "vox clamans in deserto", senza riuscire ad incidere sulle cause ma limitandosi a gestire un eterna cronica emergenza, nascondendola agli occhi.
 
E' già cosi e sta bene a molti.

Mauro Montalbetti - presidente IPSIA